Lorenzo Madaro - Ecologia dell’autosufficienza - 2021

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Pubblicato Mercoledì, 17 Gennaio 2024 09:50
Scritto da Super User
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C’è una forma di resistenza nella ricerca di Francesco Fossati, riguarda la pratica della produzione e dello stesso concepimento dell’opera, in un processo che è insieme mentale e rituale, capace di muoversi con disinvoltura tra bidimensionalità e scultura, installazione e spazio. Con rigore e sistematico impegno, concepisce opere che sono dispositivi di pensiero e che anche quando prendono in prestito immagini assimilabili a profili riconoscibili – foglie, per esempio –, non approdano mai su binari narrativi. Da oltre cinque anni Fossati – e nella mostra Liminal Wild Plants propone gli esiti più recenti di questo percorso di ricerca ormai lungo e decisamente complesso – ha avviato un discorso attorno alla natura (anzi, sarebbe più appropriato dire “dentro”), intesa non tanto come soggetto, ma come presupposto e dispositivo processuale in grado di generare forme e spazi, corpi scultorei o segni. Le prime tracce di Organic Pictures sono del 2016: Fossati iniziava così a concepire tecniche di stampa ecologiche, trasferendo i pigmenti di determinati materiali botanici – per esempio radici, verdura, foglie, frutta – su tessuti di fibre vegetali come il cotone e il lino. Erano opere a chilometri zero, le materie prime venivano rintracciate nel suo orto e nelle immediate vicinanze del suo studio e anche il trasporto per mostre o installazioni nelle case dei collezionisti avveniva attraverso soluzioni non impattanti. A un lavoro artistico indirizzato a un discorso sull’ecologia – sempre più sbandierato in diversi contesti, anche espositivi, che riguardano architettura, arti visive e pratiche sociali –, Fossati ha scelto una via concreta, immediata, eppure solitaria e delicata. Ha quindi deciso di iniziare in autonomia un percorso di rigenerazione in grado di non pesare sull’ecosistema, anche semplicemente per quel che riguarda la produzione di pigmenti propedeutici alla realizzazione di opere pittoriche. Perciò ha autoprodotto e in alcuni casi anche distribuito ad altri artisti dei tubetti di colore naturale al 100%, anch’essi a chilometri zero quindi a impatto ambientale nullo. È l’ecologia dell’autosufficienza, che ribadisce non soltanto l’autonomia della ricerca artistica rispetto ai ritmi esterni del consumismo e della contaminazione, e un rapporto profondo con le piante, con la loro vita. Le tele realizzate con stampe vegetali su cotone biologico sono pertanto un ecosistema autonomo. Le foglie di castagno diventano pertanto delle possibili reliquie di un mondo distrutto, che attraverso il proprio operare Fossati recupera e preserva. Foglie come moduli visuali, quindi, in grado di astrarsi da specifici contesti. Sembrano battelli alla deriva, raccontano di un movimento primordiale, libero, scevro da ogni possibile prospettiva compiuta, ma in divenire. Tali sono anche le geografie che si possono identificare osservando a distanza ravvicinata le sue tele di grandi o medie dimensioni: il sommacco siciliano, una pianta della famiglia delle Anacardiaceae, diffuso tra Palermo e Trapani, ma anche in Medio Oriente e Nord Africa, è una tra quelle entrate nella dinamica visuale e formale di Fossati. La forma diviene così un modulo, uno spazio potenzialmente riproponibile, elemento in grado di essere riproposta piegando la tela stessa nelle fasi di tinteggiatura. Alcune foglie infatti sono marcatamente presenti sulla superficie, altre si disperdono visivamente fino a diventare quasi delle macchie, che ritmano i piani. Stratificando queste immagini, si costruisce un percorso, una mappa immaginifica. L’artista non ci dà l’opportunità di assistere alle fasi di realizzazione, non le documenta, ma chiaramente tutto il processo si percepisce tra le pieghe dell’opera. Gli intenti di Fossati non sono mai didascalici, l’artista non intende insegnarci nulla, ma vuole percorrere insieme un percorso di consapevolezza.

La resistenza della natura riguarda intimamente tutta la sua pratica, quindi, che muta forme e cambia prospettive formali, come accade anche con la corteccia ripensata attraverso l’applicazione della foglia d’oro. La presenza di quest’opera – Scorteccia – in mostra fa affiorare due ordini di questioni: da un punto di vista tecnico-operativo c’è la capacità di Fossati di mettersi sempre in discussione, di relazionarsi con dissimili linguaggi e norme operative; dall’altro c’è una ulteriore messa in scena di una natura in grado di resistere ma anche di cambiare pelle, di modificare la propria stessa consistenza visuale. Questo cimelio di una privata escursione in un bosco brianzolo, ci consente di porci ulteriori quesiti su quello spazio liminale in cui il brandello di legno è in realtà un memorabilia da contemplare con la cura dello sguardo. Dorarlo rivela il desiderio di affidargli un ruolo rituale, quasi magico, spingendo il discorso di Fossati su declinazioni antropologiche, anche perché – ed è un dettaglio non secondario – questi materiali sono stati raccolti direttamente dall’artista in ambienti poco modificati dall’uomo. In fondo Francesco Fossati è un ricercatore in grado di compiere perlustrazioni costanti tra differenti discipline: il suo impegno è plurale, negli anni infatti si è mosso dalla scultura capace di intercettare riflessioni sulle proprie logiche formali a un impegno sul fronte dell’arte pubblica, a un’operatività nei confronti di qualcosa di più ampio, senza confini, ovvero la salvaguardia della natura. Nel lavoro di Fossati però non c’è nulla di quel carattere performativo e iconico di Beuys, quanto piuttosto un impegno militante costituito da piccoli gesti, intimi, silenziosi, immaginifici. A Fossati interessa infatti ciò che è scarto, ciò che è liminale nei sentieri che percorre. La sua arte è il luogo di nuove alleanze, tra strati di materia assolutamente lontani, ma che Fossati è in grado di assembramenti e metamorfosi.

Spoglie fragili sono anche le sculture realizzate utilizzando il riccio di ippocastano: all’interno le castagne sono rivestite di foglia oro, foglia argento e gommalacca: sono anch’essi brandelli di una natura che resiste, provengono da paesaggi liberi e incontaminati, contesti totalmente estranei al sistema economico e sociale, agricolo e commerciale. Con il proprio gesto, Fossati costruisce una trasfigurazione, dà un valore a qualcosa che ignoriamo a forme che stupiscono per la loro complessità. Niente di nostalgico, niente di bucolico. Anzi, l’operazione che compie l’artista è assolutamente concettuale, non a caso un’altra declinazione di questo lavoro è quello del display. La struttura in multistrato, metallo e carta che costituisce la struttura che regge questi elementi fragili e insieme forti, restituendoli alla loro relazione con lo spazio. Non c’è niente di scientifico nel percorso che Fossati porta avanti, il suo legame empatico con ciò che appartiene alla sfera della natura riguarda la dimensione ancestrale di un ambito quanto mai attuale nell’era dell’antropocene: oggi la natura è ancora uno spazio assoluto di conoscenza di ciò che siamo noi e di ciò che è fuori da noi. Impastando foglie e carta adottati durante la bollizione, che è un processo di riferimento nel concepimento delle tele, Fossati realizza sculture dalle forme primarie, geometrie che si estrudono nello spazio, seppur nelle piccole dimensioni, per generare nuovi perimetri, inedite soglie con cui interfacciare lo sguardo e il passo. Persiste così quel gusto per la forma, per i moduli primari in grado di ripetersi, di autogenerare nuove porzioni di spazio, così come accade sui profili lisci delle tele. Sono spazi di trasformazione, materie che incontrano altre materie nell’orbita di una ecologia della coscienza scultorea, che genera forme dagli scarti di precedenti lavorazioni. Lo studio di Fossati diviene così l’atelier di una rigenerazione costante, di un processo del riuso che è tangibile e mai urlato. In un persistente momento di Post-production, Fossati preleva forme care alla storia dell’arte minimalista, ma lo fa per suggerirci determinate riflessioni e consapevolezze. Per farlo, si serve di forme che già ci sono famigliari, di geometrie vicine ai nostri immaginari, di moduli che siamo in grado di riconoscere con efficaci sguardi ravvicinati. 

Trasformazione: è questo che guida l’agire di Francesco Fossati ed è tale l’esempio che le sue opere ci indicano. E se i brandelli delle piante e le protuberanze delle sculture precisano un processo che non vuole mai deliberatamente essere perfetto, l’insieme dei lavori in mostra rivelano una progettualità in divenire, in grado di mutare pur nella coerenza di un’impostazione che è prima di tutto ciclica. Dalla natura si parte e alla natura si approda, per Fossati, per le sue opere e per i nostri sguardi più o meno consapevoli. In quella mescolanza di opposti, di mondo e natura, unioni e lontananze, di interrelazioni del vivente e display, con un loro ordine e quindi un proprio ordinamento interno, il percorso di Fossati è rivelatorio nel suo voler essere volutamente precario, fragile, mutante. Ce lo insegna anche un pensatore radicale del nostro tempo, Emanuele Coccia, quando ragiona sulle metamorfosi delle piante: quando spiamo dei brandelli di natura ci stupiamo, perché è un microcosmo straordinariamente dinamico. Con discrezione e i tempi lunghi del fare tutto ciò accade anche in quel processo silenzioso e appartato che è alla base di queste opere di Francesco Fossati. 

Francesco Fossati, Liminal Wild Plants, 2021, exhibition view at Manuel Zoia Gallery, Milan, ph. Cosimo Filippini

Francesco Fossati, Liminal Wild Plants, 2021, exhibition view at Manuel Zoia Gallery, Milan, ph. Cosimo Filippini

Francesco Fossati, Liminal Wild Plants, 2021, exhibition view at Manuel Zoia Gallery, Milan, ph. Cosimo Filippini

Francesco Fossati, Liminal Wild Plants, 2021, exhibition view at Manuel Zoia Gallery, Milan, ph. Cosimo Filippini

 

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