Simone Frangi - Non-specificity of medium
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- Pubblicato Lunedì, 13 Maggio 2013 08:45
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Il contenuto deve dissolversi a tal punto nella forma che l’opera d’arte non può ridursi, nella sua totalità o in una sua parte, ad altro che a se stessa.
Piattezza e consapevolezza come tappe progressive di uno sviluppo. E la conclusione della ricerca artistica intorno alla propria coscienza.
Due mastodontici obiettivi polemici, di cui Francesco Fossati cerca di mangiucchiare, silenziosamente e tenacemente, le fondamenta.
Il terreno d’avvio della ricerca è storiografico: la critica d’arte ha sempre assegnato le preoccupazioni teoriche della scultura ad un dominio diverso, ed addirittura ostile, a quelle della pittura. E anche nell’eventualità in cui abbia lanciato una lettura sincretica delle corrispondenze tra i codici della pittura e i codici della scultura, ha sempre e solo intravisto nella pittura la lungimiranza di aprirsi all’integrazione di volumi aggettanti nella sua superficie. O alla riconversione, tramite l’a-cromia, del supporto pittorico in oggetto plastico.
In una sezione della sua personale, Fossati mette in atto una pratica di ceramica “inconforme”, una tecnica intermedia che gioca a tratti con la piattezza del neriage e che fa subentrare la marmorizzazione come implemento volumetrico. Un lavoro scultoreo che si mostra debordante e solidale ad ogni altra regione della produzione dell’artista: se l’imperativo modernista stabilisce infatti che ogni disciplina deve restare nei limiti del proprio medium, Fossati prevede usurpazioni di prerogative e vicendevoli invasioni di campo.
La serie di ceramiche moltiplica un medesimo esercizio teorico in 9 esemplari, testando un approccio “iconico” ai volumi: fare una scultura legata ai presupporti della pittura e del disegno, alla loro piattezza, alla loro superficialità. Per parlare del mezzo come medietà., elemento impuro ed intermedio, come struttura di comunicazione e di transito: come vero e proprio banco di prova della questione linguistica in arte.
La scelta del materiale di produzione cade sulla creta, elemento primo, didascalico e tautologico della scultura. Un incipit storicizzato, dogmatico, talmente esausto che deve senza dubbio celare altre possibilità d’uso non indagate. Ed è questo in “piegarsi” al mezzo ed alla sua inerzia che le ceramiche di Fossati riqualificano l’errore come esordio di una nuova narratività per la pratica scultorea. Il tassello mancante che questa serie estrae dal corpo della creta è la sua mansuetudine accoppiata all’imprevedibilità. Come a voler assecondare quella strana vigilanza di cui è dotata la materia prima, la padronanza tecnica dei mezzi di produzione arretra mentre la regola della deformazione incontrollabile avanza.
La preparazione delle sculture implica, all’origine, una componente fisica molto forte, che si ritrae progressivamente, che non filtra nella soluzione finale: la soppressione delle tracce di tutti i processi intermedi (scagliare le terre al suolo per fare aderire le due paste utilizzate) produce climax decrescente, che stempera l’incisività della forza nella nettezza della precisione. Le sculture si presentano in principio come innocui panetti, violati, prima della loro cottura, da fenditure decise. Il passaggio al forno completa lo svuotamento e la dischiusione, aprendo i volumi ad una bidimensionalità ed una superficialità pittoriche ed innescando un’oscillazione d’identità.
Mediando tra l’autocensura del modernismo e la sfacciataggine processuale dell’anti-form, la scultura di Fossati vive di un lavoro che appare sin da subito “gentile”. Che seziona per curiosità, senza velleità chirurgiche, ma con un piglio anatomico, ed indaga l’interno basandosi su ciò che si mostra all’esterno. Prima comprimere. Poi sezionare. Segni delle dita per sventrare. Tagli verticali ed orizzontali per mostrare le viscere.
Francesco Fossati, ""sculture"", 2012, installation view at Galleria Cart, Monza, different kind of terracotta